Durata: ca. 5 ore.
Difficoltà: media.
La partenza dell'itinerario è da Pomonte, l'antico centro rurale dell'Elba occidentale; il sentiero (segnavia C.A.I. n. 9) inizia nei pressi del ponticello che dalla via del Passatoio immette nelle campagne coltivate della valle, ed è impreziosito, per lunghi tratti, da una pavimentazione in pietre di granito in ottimo stato di conservazione.
Il paesaggio è quello dei terrazzamenti, con i vetusti muretti a secco che sostengono e separano i coltivi; qui si intravedono migliaia di filari di vitigno, un tempo coltivato fin sulle colline più alte, e fazzoletti di terra strappati alla roccia nuda e lavorati per secoli dai contadini senza l'ausilio di alcuna tecnologia, se non quella della forza delle braccia.
La mulattiera conduceva presso i poderi coltivati, ma soprattutto era l'unica strada interna per raggiungere San Piero e Vallebuia: due centri un tempo molto importanti per l'estrazione e la lavorazione del granito. Per raggiungere la parte più incontaminata della valle, occorre superare un incrocio con il sentiero n. 31 ed i ruderi di un piccolo magazzino distante alcune decine di metri da un torrentello. Man mano che ci si allontana dal centro abitato il paesaggio bucolico scompare, sostituito dalla vegetazione spontanea che riguadagna velocemente gli spazi un tempo concessi al lavoro dell'uomo: fatto emblematico, questo, di un equilibrio di scambio di risorse tra uomo e natura oggi veramente dimenticato.
Dai ruderi del magazzino si giunge in breve ad un castagneto, dove si trova un altro torrente. Guadato il ruscello, sul lato nord del fosso, si segue il sentiero che sale, in ampi tornanti, tra la vegetazione, fino a raggiungere alcuni magazzini rustici pericolanti.
Per proseguire nel nostro itinerario occorre costeggiare, in direzione nord-est, il fosso Barione, lungo il quale scorre un torrente.
La vegetazione qui è rigogliosa: ontani, lecci e castagni secolari crescono lungo tutto il fondovalle accanto a molte specie di felci, rovi e a piante rampicanti come la vitalba dalle lunghe e caratteristiche liane pendenti; il torrente, in mezzo ad essa, scorre veloce lungo le pieghe del granito, ora formando piccoli invasi, ora scivolando in dolci cascatelle, il tutto in un paesaggio davvero ridente.
Di tanto in tanto il sentiero sembra abbandonare il torrente, arrampicandosi sui pendii della valle a nord, salvo poi rientrarvi, qualche decina di metri più avanti. Così, avanzando per quasi un' ora guidati dal fragore dell' acqua, si arriva nei pressi di una piccola cascata, superata la quale il sentiero abbandona il fosso risalendo la montagna a sud del torrente: qui scope, corbezzoli e lecci tornano a dominare lo scenario vegetale.
Il sentiero sale, adesso, quasi a ritroso (direzione sud-ovest), verso il colle della Grottaccia, lasciandosi la macchia alle spalle. Raggiunta la cima, vicino ad un vecchio caprile si trova un crocevia prima del quale si deve svoltare a destra per poi proseguire lungo il crinale ovest. La pista conduce, in una ventina di minuti, al colle della Grottaccia (quota 630 slm). In questo luogo si respira un' aria di vita antica e di mistero.
Dalla vetta, tra le rocce e gli antichi muri a secco, edificati forse da popolazioni di cultura subappenninica, si può ammirare un panorama di rara suggestione. I muri, spessi oltre un metro, fomano una cerniera che circonda il colle e che doveva rappresentare, un tempo, una vera e propria fortezza d'altura.
Più avanti, in basso, tra la steppa cespuglio sa di un pianoro, sassi accuratamente levigati e pezzi di coccio rivelano un' antica presenza: popolazioni di cultura pastorizia e contadina scelsero infatti queste cime quali punti di avvistamento (da qui si domina il mare tra l'Elba, Montecristo e la Corsica) e baluardi difensivi contro le incursioni delle popolazioni guerriere che per molti secoli dominarono, con le loro scorrerie, il bacino mediterraneo.
Per riprendere il sentiero, dal piccolo altipiano occorre superare il caprile più ad ovest e poi svoltare subito a sinistra, portandosi sul vèrsante sud del colle. Da qui il percorso si fa abbastanza dolce e, senza significativi dislivelli, permette di raggiungere monte Cenno (592 m) e quindi monte Orlano (546 m). Attenzione al bivio: occorre ignorare il segnavia n. 35 e seguire, per tornare a Pomonte, il n. 31 in direzione sud-ovest.
La cima di monte Orlano è riconoscibile dai grossi massi granitici variamente modellati e caratterizzati da cavità ed anfratti, dovuti a fenomeni erosivi frequenti in tutta l'area del monte Capanne.
Si potrà invece assistere alle straordinarie evoluzioni della poiana durante il corteggiamento e la parata nunziale (periodo marzo-maggio) o ai canti musicati dell'occhiocotto, della sterpazzolina (Sylvia cantillans) e della passera scopaiola, un prunellide amante delle steppe e delle campagne incolte. Nei pressi di monte Orlano, l'itinerario effettua una virata a sud-ovest, quasi ad aggirare la collina, passando in breve dal suo versante sud a quello nord.
Giunti nei pressi del caprile di monte Schiappone, il sentiero scende a nord-ovest in modo ripido, e va percorso con cautela, soprattutto in presenza di umidità o ghiaccio. In pochi minuti ci ritroviamo tra i coltivi abbandonati, già presenti a quote considerevoli, ma ormai distinguibili a fatica tra la folta i vegetazione.
Anche i bordi del sentiero, frequentemente contrassegnati da secolari muretti a secco, sono ricoperti di licheni dalle forme più bizzarre e di piante spontanee rigogliose e generose di bacche e frutti, come nel caso del mirto (Myrtus communis), localmente denominato "mortella" o "mortellizzo", con le cui bacche si produce un liquore molto apprezzato.
Alla fine della discesa, ci si ritrova sul sentiero n. 9 che abbiamo percorso per raggiungere la parte alta della valle; da qui, in breve tempo si potrà tornare di nuovo a Pomonte.