La strada pedonale inizia nei pressi della rocca pisana di Marciana; il sentiero è contrassegnato dal segnavia C.A.I. n. 3 e sale, a gradoni selciati in granito, fino al santuario della Madonna del Monte.
Fino a non molti anni fa, questa mulattiera rappresentava l'unica via terrestre di collegamento tra Marciana e le località sulla costa occidentale e per molti tratti è ancora ben conservata.
Lungo il percorso, e fino a raggiungere il santuario ed il romitorio, una serie di 14 cappellette affrescate ricordano la via crucis, a testimonianza del motivato e tradizionale sentimento religioso del popolo marcianese.
Occorrono circa 40 minuti di cammino, tra castagni e macchia mediterranea, per raggiungere il romitorio dove nel 1735 predicò San Paolo della Croce e (una memoria scritta sta a ricordarlo) nel 1814 dimorò Napoleone I.
I due edifici (chiesa e romitorio) sono circondati da una folta vegetazione di pini e castagni, alcuni di essi secolari. Una breve sosta consentirà al viandante di riprendere fiato e, all'occorrenza, di far provvista di acqua (c'è una fonte di ottima qualità posta all'ingresso della chiesa).
Riprendendo il cammino da Madonna del Monte in direzione nord, a poche centinaia di metri dal luogo sacro si scorge un enorme masso granitico detto "l'Aquila" (per la forma somigliante al noto rapace o forse, come racconta un' altra suggestiva ipotesi, perchè l' aquila era il simbolo di Napoleone, che da quel masso, contemplando la "sua" Corsica, sognava il ritorno sulle scene della storia), attorno al quale sono stati rinvenuti, negli anni '70, alcuni insediamenti etruschi e sono stati recuperati frammenti fittili databili tra l'XI e il VI secolo a.C. Il masso dell' Aquila costituisce per altro un ottimo punto panoramico e, avendo il giusto tempo a disposizione, è consigliabile recarvisi. Dal masso dell' Aquila, per proseguire il nostro itinerario occorre fare qualche passo indietro e riprendere il segnavia n. 3, in direzione sud-ovest.
Dal romitorio, in poco più di 40 minuti, la mulattiera giunge nei pressi di una sorgente (il Bollero) immersa in un bosco di castagni, dopo di che, seguendo una curva di livello a circa 550 m di quota, entra in un paesaggio verdissimo e selvaggio.
All'altezza del Bollero si innesta il sentiero n° 27 che porta a Patresi, variante della Grande Traversata Elbana.
Il sentiero scende in corrispondenza del Fosso della Castagnola seguendo il tracciato dell'acquedotto e prosegue sul fondo valle, attraverso una lussureggiante vegetazione di querce e castagni, sino all'uviale di Patresi, che costeggia sulla sinistra sino a raggiungrere la strada provinciale in località Mortaio.
Adesso la passeggiata è un susseguirsi di scenari fiabeschi, un alternarsi di rocce, ruscelli, piante e di scorci mozzafiato sul mare dell'arcipelago Toscano. Tutt'intorno, le essenze della macchia mediterranea sono ben rappresentate da varie specie di ginestra (dai tipici cuscinetti della Genista desoleana agli arbusti del Cytisus scoparius e del Cytisus vil losus), dalla scopa (Erica arborea), dal leccio (Quercus ilex), dall'ontano e soprattutto dai rigogliosi e lucenti corbezzoli (Arbutus unedo).
Di tanto in tanto la quiete è rotta dal rumoreggiae dell' acqua di un ruscello o dal richiamo allarmato di un merlo (Turdus merula) sorpreso nel suo da fare quotidiano.
Il sentiero si snoda sui fianchi della montagna, ora in leggera discesa, ora salendo dolcemente; camminando per circa un' ora si raggiunge, a quasi 700 m di quota, un bivio; da questo, scegliendo la via di destra, si può arrivare, in circa 30 minuti, al semaforo di Campo alle Serre, una stazione dell'aeronautica ormai in disuso da qualche decennio, da quando, cioè, i segnalatori luminosi sono stati sostituiti dai radar.
Dal colle del semaforo è possibile godere di un panorama suggestivo, che permette una vista a 360 gradi sul mare e sulla costa occidentale dell'Isola.
A sud, come in un susseguirsi di quinte, si osservano la valle di Chiessi, con i terrazzamenti di vite che un tempo si estendevano fin sopra i 500 m, il monte San Bartolomeo ed il colle della Grottaccia.
Verso est, gli aspri colli del monte Giove e del monte di Cote fanno da splendida cornice all'azzurro mare dell' Arcipelago Toscano.
Attorno alla struttura, ormai fatiscente, aleggia un' aria austera e sinistra, come se questo posto, molti anni fa, fosse stato teatro di chissà quali storie; del resto non ci vuole molto a viaggiare con l'immaginazione in una notte di temporale, nei primi anni del 1900, in cui lo scandire dei tuoni e dei lampi che si abbattono sull'antenna di Marconi e sulla sala di trasmissione si confonde con il palpito emozionato dei cuori dei telegrafisti, protagonisti di un' epoca vicina e remota al tempo stesso.
Per riprendere lo stradello di Chiessi è necessario, dal semaforo, camminare a ritroso per qualche centinaio di metri fino ad imboccare, sulla destra, il sentiero n. 25 che scende tra una folta vegetazione di cisto e ginestra.
Il fondo pedonale della mulattiera che conduce a Chiessi (vi sono ancora circa 2 ore di cammino) è purtroppo molto degradato e solo in brevi tratti lascia intuire il modo in cui, un tempo, un ingegnoso selciato in bozze di granito consentiva un passaggio comodo e sicuro.
Man mano che si scende, la vegetazione si arricchisce di nuove specie, per lo più xerofile, cosicchè ritroviamo arbusti come la ginestra odorosa (Spartium junceum), il profumatissimo cisto marino (Cistus monspeliensis), la gIobularia (Globularia alypum), una cespugliosa dalle caratteristiche infiorescenze azzurrognole autunnali assai rara in Italia e nel Mediterraneo ed il rosmarino (Rosmarinus officinalis), pianta anch'essa, come la precedente, ben adattata a queste valli aride e sassose.
Completano il panorama vegetale di quest'ultima parte dell' itinerario il mirto (Myrtus communis) dai bellissimi fiori candidi e conosciuto anche per il suo liquore (che si prepara con le bacche), il lentisco (Pistacia lentiscus) e qualche raro alberello di leccio.
Adesso il paesaggio cambia aspetto, e se la vegetazione appare talvolta più ricca di specie, il suolo sul quale essa si sviluppa appare di tono più scuro, grigio fumo, a tratti verdastro.
Il fenomeno si spiega osservando con attenzione le rocce affioranti sul fondo ed ai bordi del sentiero: i gusci del plutone granitico che hanno accompagnato sin qui il nostro cammino sono scomparsi e, fatta eccezione per alcuni filoni apolitici di vario spessore, le rocce prevalenti sono tutte di natura metamorfica. Si tratta di scisti e marmi appartenenti alla falda ligure.
La peculiarità di questi suoli è la struttura in lamine, osservabile principalmente nei protoliti argillitici e dovuta alle trasformazioni subite dalla roccia in seguito alla risalita del plutone granodioritico. Per arrivare a Chiessi, meta finale dell'itinerario, occorre scendere tra rocce e vigneti ormai incolti per almeno 45 minuti, fino a ritrovarsi, a due passi dal paese, sulla strada provinciale.